Dagbladet - 9 marzo 1981

Dagbladet - 9 marzo 1981
Mauro Santelli: «Serve più letteratura italiana tradotta in Norvegia»
Di Terje Mosnes
Didascalia della foto:
Mauro Santelli con il libro che presenterà nella sua prossima conferenza all'Istituto Italiano di Cultura, Il fratello italiano di Giovanni Arpino. Il suo impegno per convincere gli editori norvegesi a pubblicare libri italiani in norvegese è stato anche coronato da un certo successo, dato che il libro più importante di tutti, Il giorno del giudizio (Dommens dag) di Salvatore Satta, sarà pubblicato da Gyldendal. (Foto: Odd H. Anthonsen)
«Il modo migliore per conoscere la cultura di un paese straniero è leggere la sua letteratura. La letteratura dice più di quanto possano fare le arti visive, il cinema o qualsiasi altra forma artistica».
Le parole sono di Mauro Santelli, collaboratore letterario dell’Istituto Italiano di Cultura in Norvegia e appassionato promotore dell’introduzione di più letteratura italiana contemporanea nel paese, attraverso traduzioni e pubblicazioni.
Di TERJE MOSNES
— Ma gli editori fanno riferimento alle poche traduzioni esistenti e dicono di avere già quello che serve — afferma — sottolineando che l’orizzonte norvegese è così troppo limitato, prevalentemente rivolto alla letteratura anglosassone. Il fatto che alcuni libri italiani si possano acquistare in traduzione inglese in Norvegia non lo entusiasma: secondo lui, o si legge nella lingua originale o nella lingua madre del lettore. Introdurre una terza lingua nell’esperienza letteraria lo trova insoddisfacente.
Oltre a insegnare letteratura italiana all’Università di Blindern, Santelli tiene un ciclo di conferenze sulla letteratura contemporanea presso l’Istituto Italiano di Cultura a Oslo. Ne restano tre, distribuite nei prossimi tre mesi. Si tengono in italiano.
Santelli ha una buona familiarità con le opere di Lie, Hamsun, Ibsen, Bjørnson, Undset e Vesaas. Quando ha visto una bibliografia delle traduzioni norvegesi di libri italiani dal 1945 al 1980, redatta dal direttore dell’istituto Achille Ribechi, l’ha trovata sorprendentemente breve. Sia in confronto alla vastità della letteratura italiana disponibile, sia rispetto al numero di traduzioni fatte da altri paesi. È questo che voleva cambiare.
— In Italia abbiamo traduzioni di letteratura da moltissimi paesi; gli italiani sono aperti e interessati alla letteratura straniera — dice. Gli chiedo se sia stato uno shock arrivare in «Ultima Thule», che non è esattamente conosciuta per la sua apertura in questo senso.
— Non è stato uno shock — sorride Santelli — ma ho scoperto subito che i norvegesi faticano a liberarsi dall’inglese come lingua ponte per accedere alla letteratura di altri paesi.
— Il temperamento norvegese può ostacolare la diffusione della letteratura italiana in Norvegia?
— Non credo. Prima di tutto si tratta di rompere il ghiaccio, avventurarsi in qualcosa di nuovo. In secondo luogo, l’Italia non è un concetto omogeneo per quanto riguarda il temperamento. Per un torinese, un siciliano può essere più estraneo di un norvegese. I norditaliani, piuttosto timidi e riservati, non sono così diversi dai norvegesi. Ogni italiano potrebbe dire giustamente:
«L’Italia per me inizia dove mi trovo e finisce a cento chilometri di distanza.»
— Se dovessi stilare un programma di letteratura italiana contemporanea che vorresti tradotto in norvegese, come sarebbe?
— «Divertimento 1889» di Guido Morselli, un libro ironico su re Umberto I in vacanza in Svizzera; poi «Dissipatio Humani Generis» (Lo scioglimento del genere umano), un romanzo futuristico sull’ultimo uomo rimasto sulla Terra; e «Roma senza papa», su un immaginario papa futuro che si fidanza con una teologa indiana. Morselli, che si è tolto la vita nel 1963, è stato riconosciuto solo dopo la morte, grazie soprattutto alla casa editrice Adelphi, che ha pubblicato numerosi autori postumi. È anche la casa editrice che ha curato le migliori traduzioni della letteratura scandinava in italiano.
Di recente si nota un ritorno al romanzo, specialmente a quello storico, nella letteratura italiana. Un esempio è «Il nome della rosa» di Umberto Eco. Eco, che ricorda un po’ Thomas Mann, è un rappresentante di spicco della semiologia, una corrente filosofica influente in Italia e negli Stati Uniti.
Anche «La strada francese» di Nino Carlino, «L’ordalia» (La prova del fuoco) di Italo Alighiero Chiusano sono romanzi storici. «L’ordalia» racconta, tra l’altro, di un diavolo che si incarna in animali e oggetti — un tema piuttosto attuale. E poi «Il tesoro del Bigatto» (Il tesoro di Bigatto) di Giuseppe Pederiali.
— Le violenze della società italiana si riflettono in qualche modo nella letteratura contemporanea? E pensi che il ritorno al romanzo storico sia anche una forma di fuga dalla realtà?
— Esiste un clima in cui la violenza e l’aggressività fanno parte dell’atmosfera generale, e questo si rispecchia anche nei libri che non trattano direttamente la violenza. Forse questa normalizzazione della violenza ha a che fare con l’interesse per il romanzo storico, che crea una distanza dal presente, verso cui molte persone provano dolore.
Un esempio di questa presenza della violenza lo troviamo in «Un borghese piccolo piccolo» di Vincenzo Cerami, che racconta di pensionati che hanno trovato un nuovo passatempo: uccidere giovani sfacciati — conclude Mauro Santelli, che ha iniziato a interessarsi alla Norvegia molto prima che si prospettasse un incarico ufficiale. In particolare, era affascinato dal viaggio con l’Hurtigruten lungo la costa norvegese, e quest’estate lo farà, durante una pausa dalla sua «opera pionieristica» tra gli editori norvegesi.